Brunetta: «La parità di genere nel lavoro conviene a tutti»

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Il presidente del Cnel, Renato Brunetta, in una intervista al “Sole 24 Ore” spiega che “le disparità tra uomo e donna nel mercato del lavoro, il fenomeno odioso della violenza economica hanno un forte impatto sulle performance economiche di un paese.

Dove c’è minore disuguaglianza di genere il reddito pro capite è più elevato”. “La parità di genere nei diritti e nelle opportunità – continua Brunetta – si associa a livelli più alti di sviluppo economico, migliora la mobilità sociale, promuove l’inclusione, stimola la crescita attraverso un migliore utilizzo delle competenze e una migliore allocazione della forza lavoro”.

Da economista del lavoro, l’ex ministro cita dati che evidenziano come nei paesi dove i divari tra i sessi generano una perdita media di reddito del 15 per cento, di cui il 40 per cento è dovuto alle ricadute negative nel campo dell’imprenditorialità.

“La parità di genere è una fantastica medicina per aiutare le economie a riprendersi più rapidamente dagli shock – sostiene Brunetta -. La parità rafforza la resilienza, è anche un importante fattore di stimolo della produttività e riduce il rischio di povertà.

Rende più resilienti le donne nell’intraprendere percorsi di uscita dalla violenza domestica.

Insomma, divario di genere e violenza economica sono due facce della stessa medaglia”. C’è dunque un legame tra la lotta alla violenza di genere e la crescita economica: “È così. L’Ocse osserva che colmare il gender gap sul piano occupazionale potrebbe aumentare il Pil di circa il 10 per cento entro due decenni o poco più.

Ricordiamoci che la Convenzione di Istanbul, cioè il Trattato europeo per la lotta alla violenza contro le donne, individua quattro forme di violenza di genere: fisica, sessuale, psicologica ed appunto economica.

Quando si impedisce a una donna di acquisire e utilizzare risorse economiche, oppure di trovarsi un lavoro o di intraprendere un percorso di studi, questa è violenza economica”.

Ma in Italia le donne devono fare i conti ancora con troppi ostacoli, sul versante dell’organizzazione del lavoro, ma anche retaggi culturali del passato, che fanno sì che il nostro Paese si collochi nelle ultime posizioni in Europa per il tasso d’occupazione femminile: “Vanno assolutamente recuperati alcuni ritardi storici e strutturali del Paese – rileva il presidente del Cnel -.

L’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa. Sfiora appena il 52 per cento.

Il differenziale rispetto al tasso di occupazione maschile è di 18 punti percentuali, anche qui il dato peggiore in Europa. Senza parlare dei divari territoriali.

Nel Mezzogiorno solo un terzo delle donne lavora e, quel che è peggio, col passare del tempo non si registrano grandi progressi.

Il Nord ha appena raggiunto il 60 per cento, obiettivo che l’Europa si era dato per il 2010″.

Avere una donna premier può contribuire a riequilibrare, almeno a livello di élite, il rapporto tra i generi, considerando che nella politica, ma anche nella Pubblica amministrazione la presenza di donne in posizioni di vertice è ancora assai limitata: “Certamente sì.

La premiership di Giorgia Meloni è simbolicamente decisiva per ridurre il ‘soffitto di cristallo’.

Rispetto alle posizioni di potere nell’ultimo decennio il nostro Paese ha fatto alcuni progressi ma molto lenti.

Ma nella politica – nota il presidente – e nel management, anche pubblico, vediamo ancora una forte sotto rappresentazione femminile.

Basta pensare all’Università e alla Sanità, settori a maggioranza femminile, ma con poche ordinarie e pochi primari (superano di poco il 20 per cento)”. “La parità di genere – conclude Brunetta – conviene a tutti, occorre mettere questo obiettivo al centro della contrattazione, a tutti i livelli.