Il Governo rivaluta la soglia di detassazione dei Fringe benefit

Il Governo rivaluta la soglia di detassazione dei Fringe benefit

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Il Governo rivaluta la soglia di detassazione dei Fringe benefit per il 2023

La nuova regola dovrebbe prevedere – sempre per il solo 2023 – un innalzamento della soglia per tutti i lavoratori e lavoratrici a 1.000 euro. Mentre per i dipendenti con figli, l’ipotesi è di un “bonus” di 660 euro per ogni figlio a carico, fino a un massimo di tre figli.

In tal caso, quindi, le soglie entro cui i fringe benefit sono detassati diventerebbero:

  • 1.000 euro i lavoratori senza figli;
  • 1.660 euro per i lavoratori con un figlio a carico;
  • 2.320 euro per i lavoratori con due figli a carico;
  • 2.980 euro per i lavoratori con tre o più figli a carico.

In questo modo l’Esecutivo punterebbe ad estendere la potenziale platea di beneficiari. Aumentando però anche i costi di questa operazione che salirebbero da 142 milioni di euro inizialmente previsti a 250 milioni di euro.

“Necessita una decisione definitiva”

Questo cambiamento, da un lato, mette in luce come il Governo stia cercando di integrare le osservazioni e gli spunti emersi durante le audizioni. Dall’altro appare chiara la necessità di prendere una decisione definitiva sui fringe benefit e non intervenire ogni anno. In questa direzione l’auspicio è che il comma 3 dell’articolo 51 del TUIR (cioè il riferimento normativo per i fringe) sia presto modificato con una cifra congrua a quelli che sono i livelli di inflazione e al costo della vita.

Welfare aziendale

Oggi più che mai, sarebbe necessario che il dibattito sul welfare aziendale non si limiti allo strumento dei fringe benefit. Infatti, i fringe possono rappresentare un’opportunità per molte imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale. C’è però il rischio che questi buoni siano utilizzati dalle aziende come una “compensazione” della retribuzione. Piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di natura sociale. Utilizzare la quota di fringe per voucher spesa e carburante, o comunque altri benefit “accessori”, non è infatti la stessa cosa che utilizzarli per servizi di natura sociale riguardanti la sanità, la famiglia, la cura e l’assistenza.

Per questo, una quota troppo elevata di fringe benefit potrebbe rappresentare un limite per il futuro sviluppo del welfare aziendale, soprattutto nella sua dimensione sociale. Inoltre, anche differenziare il trattamento tra i dipendenti che hanno figli a carico e coloro che non li hanno potrebbe essere controproducente, soprattutto perché per le imprese non è facile giustificare – con lavoratori/trici e sindacati – trattamenti differenti e al contempo organizzare piani differenziati in tal senso.

Per queste ragioni, accanto all’aggiornamento delle quote, sarebbe cruciale modificare la normativa del welfare aziendale cercando di valorizzarne le finalità sociali. In merito, come Secondo Welfare, abbiamo più volte avanzato proposte. Tra queste le più rilevanti sono quelle di incentivare la fruizione di servizi sociali, sanitari e assistenziali (anche tramite l’utilizzo dei fringe), introdurre nuove voci alla normativa, come la flessibilità, l’orientamento e l’ascolto dei lavoratori e, infine, valorizzare la dimensione territoriale, prevedendo sgravi e incentivi per le aziende che fanno rete (tra loro e con il territorio)