Si intende un inadempimento del lavoratore relativo alla sua obbligazione principale (eseguire correttamente la prestazione lavorativa). Per tale motivo si configura come un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Quando è legittimo il licenziamento per scarso rendimento?

E’ legittimo soltanto qualora il datore di lavoro provi rigorosamente il comportamento negligente del proprio dipendente. Dimostrando altresì che l’inadeguatezza del “risultato” non sia ascrivibile all’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore ed a fattori socio-ambientali.

Nello specifico, deve risultare provato, un’evidente violazione della diligenza nella collaborazione dovuta dal dipendente. Tenuto conto di una rilevante sproporzione tra gli obiettivi aziendali assegnati al lavoratore e quanto effettivamente dal medesimo realizzato nel periodo di riferimento.

Cosa rende un rendimento “scarso”?

Si parte dalla valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore e dall’esito degli elementi dimostrati dal datore di lavoro.

Si mettono a confronto i risultati del lavoratore, gli obiettivi assegnati ad esso con dei dati globali riferiti ad una media di attività tra i vari dipendenti.

Quando il licenziamento è illegittimo?

Con una recente ordinanza (la n. 1584 del 19 gennaio 2023), la Corte di Cassazione, ha affermato che a fondamento dello “scarso rendimento” non possono essere posti comportamenti già sanzionati disciplinarmente.

Tale pronunzia conferma che, anche nell’ipotesi di licenziamento per “scarso rendimento”, deve trovare applicazione il divieto di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto, sulla base di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica.

Solamente quando sia esclusa tale ultima ipotesi, è senz’altro consentita al datore di lavoro una valutazione complessiva di pregressi comportamenti del dipendente.

Pronunzie meno recenti.

Da ultimo, giova evidenziare che alcune pronunzie meno recenti hanno ricondotto il licenziamento per “scarso rendimento” – al verificarsi di determinate condizioni – nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con la conseguenza che, a prescindere dalla ricorrenza di un inadempimento imputabile al lavoratore, la prestazione di lavoro risulti essere oggettivamente non più utile per il datore di lavoro o dallo stesso sufficientemente e proficuamente utilizzabile, incidendo negativamente sulla produzione aziendale. Trattasi di orientamento giurisprudenziale minoritario (oltre che superato da sentenze recenti di segno opposto), nel cui ambito peraltro non è nemmeno riconducibile il recesso per “scarso rendimento” e conseguente disservizio aziendale determinato dalle ripetute assenze per malattia del lavoratore, non potendo dette assenze legittimare – prima del superamento del periodo massimo di comporto – un valido licenziamento per giustificato motivo oggettivo; lo stesso, infatti, sarebbe nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, secondo comma, cod. civ., che – com’è noto – garantisce al prestatore di lavoro assente per malattia il posto di lavoro per un determinato periodo di tempo, di regola stabilito dalla contrattazione collettiva.